domenica 28 maggio 2017

Prendersi cura di sé: l'alimentazione





Il più delle volte consideriamo il nostro corpo come qualcosa di scontato, che ha bisogno solo di cibo e di sonno. Spesso lo dimentichiamo del tutto e ne prendiamo pienamente coscienza solo quando non ci piace (difetti estetici, aumento di peso ecc.) o quando all'improvviso smette di funzionare perfettamente in modo automatico (malattie).

Esso va invece accudito e rispettato ogni giorno perché nel prenderci cura del nostro corpo  prestiamo attenzione a noi stessi.

Per mantenere un rapporto salutare con il corpo, è indispensabile fermarsi di tanto in tanto e valutare le sue condizioni.

Un'area importante da indagare è l'alimentazione.

È utile cominciare col porsi alcune domande:
  • quanto è sana la mia alimentazione?
  • mangio a intervalli regolari o irregolari?
  • mangio in fretta o mi prendo il tempo per mangiare davvero con tutta calma?
  • dopo mangiato tendo a sentirmi appesantito e stanco o mi sento sazio, leggero e pieno di voglia di fare?


Risposte sincere a questi quesiti forniscono già un primo quadro sulla “bontà” delle proprie abitudini alimentari.


Ecco alcune regole da tenere presenti:
  • la prima è fondamentale: mangiare è un piacere e tale deve restare!!
    Con le giuste accortezze e i giusti condimenti si possono ottenere pietanze salutari e al contempo appetitose che soddisfano sia le esigenze del palato che le esigenze di benessere e salute.
  • è meglio cedere ad una tentazione ogni tanto (con la dovuta parsimonia) che trattenersi troppo a lungo per poi abbuffarsi e magari sentirsi in colpa, anche perché il modo migliore per togliere appetibilità ai cibi “proibiti” è sganciarli dal divieto; in altre parole, se desidero qualcosa e me la vieto la rendo ancora più desiderabile e irresistibile!
  • è bene mangiare a intervalli regolari e con calma, in questo modo assapori di più il cibo che mangi, lo assimili meglio e favorisci la digestione, che comincia proprio con una buona e corretta masticazione.
  • è infine essenziale imparare a prestare attenzione ai segnali che il corpo ci invia. Questo permette di: riconoscere il senso di sazietà e fermarsi subito piuttosto che eccedere con il cibo (l'ideale sarebbe alzarsi da tavola sentendosi sazi ma non appesantiti); riconoscere le esigenze alimentari del TUO corpo: mentre alcuni hanno bisogno di molti carboidrati, altri stanno meglio mangiando frutta e verdura; individuare eventuali intolleranze alimentari: al di là dei test che si possono fare, l'auto-osservazione è un ottimo metodo per comprendere quali cibi procurano pesantezza e difficoltà digestive.


Una nota finale: guardare la TV o giocare con il telefonino durante i pasti sono abitudini da abolire dal momento che distolgono l'attenzione dal cibo, per cui si mangia in automatico e non si gusta appieno il sapore delle varie pietanze, e aumenta la probabilità che si mangi troppo perché l'automatismo del mangiare crea una sorta di disconnessione che ostacola il riconoscimento dei segnali di sazietà.

A ciò si aggiunga che TV, telefonino & co. compromettono la possibilità di dialogare e di relazionarsi con chi è a tavola con noi, e già questo sarebbe un valido motivo per bandirli durante i pasti.




Per concludere: il buon cibo e la buona compagnia sono alcuni dei piccoli-grandi piaceri della vita... tuteliamoli! 

sabato 29 aprile 2017

Dall'infanzia all'adolescenza: l'accettazione








È facile sentirsi fieri e contenti dei propri figli quando tutto va per il meglio; cosa accade però quando subentrano dei problemi?

Immaginiamo che nel passaggio dalle scuole medie alle superiori gli ottimi risultati scolastici del proprio figlio vadano incontro ad un calo inaspettato, e il presunto “genio della matematica” è surclassato dai nuovi compagni di classe.
Oppure il ragazzo che si è sempre mostrato sereno e sicuro di sé improvvisamente comincia a sentirsi fragile o impacciato.
Il genitore può sentirsi disorientato di fronte a questi cambiamenti, o anche scoraggiato (“stava andando tutto bene! Che succede ora?”) oppure impotente perché non sa come aiutare e sostenere il proprio figlio.

Ciò che va ricordato in questi frangenti è che con ogni probabilità il disorientamento, lo scoraggiamento, l'impotenza che il genitore avverte verso il figlio, sono solo un riflesso sbiadito degli stessi sentimenti ma ancor più intensi che il figlio vive in prima persona.

Un figlio deluso da se stesso non ha certo bisogno di farsi carico anche della delusione del genitore.

Anzi, è proprio in queste situazioni che il ragazzo ha bisogno di sentire la presenza e il sostegno dei propri genitori, percependo chiaramente che l'amore nei suoi confronti non è commisurato a ciò che fa bene o male, ai suoi successi e alle sue conquiste; egli ha bisogno di sapere che i genitori lo amano e credono in lui e nelle sue potenzialità al di là dei suoi limiti, inevitabili, e dei suoi errori, dai quali, con il giusto atteggiamento, si può imparare per poi scoprirsi più forti di prima.
Sentendosi accettato e amato dai genitori, il figlio impara ad amarsi ed accettarsi.

Usando una metafora: è facile entusiasmarsi e fare il tifo per la propria squadra quando sta vincendo, il morale è invece più basso quando la squadra del cuore sta perdendo e non riesce a superare lo svantaggio.
Ma è proprio in quel frangente che la tifoseria deve far sentire più forte che mai la sua vicinanza e il suo calore, è in quei momenti che l'allenatore deve spronare i suoi giocatori a dare il meglio di loro stessi e a non scoraggiarsi.
E laddove la squadra gioca al massimo delle sue possibilità, anche una partita persa ma ben giocata è una partita che merita di essere acclamata e sostenuta fino alla fine.

Quindi, FATE IL TIFO PER I VOSTRI FIGLI, SEMPRE!! Soprattutto quando sono in difficoltà e ne hanno più bisogno.

martedì 4 aprile 2017

Dall'infanzia all'adolescenza: gratificare l'autonomia psicologica







Nei post precedenti si è parlato dell'importanza di creare una buona piattaforma comunicativa con i propri figli e della necessità di monitorarli, stabilendo le regole da rispettare e che fungano da cornice normativa.

All'interno di questa cornice, tuttavia, occorre evitare atteggiamenti eccessivamente autoritari e coercitivi che  rischiano di soffocare la libertà decisionale e la personalità dei figli.
Si crea il giusto equilibrio quando, seppur alla presenza di chiare e condivise regole di convivenza,  il genitore è in grado di sostenere e stimolare l'autonomia psicologica del figlio.

Gratificare l'autonomia significa accettare che i figli possano avere idee diverse dalle proprie, un loro modo di pensare e di essere, una loro progettualità che, per quanto lontani e diversi dai propri, vanno accolti e rispettati o quantomeno compresi e non immediatamente rigettati e denigrati.

Significa inoltre accogliere le loro scelte e permettere loro perfino di sbagliare: è meglio sbagliare a partire da se stessi, facendosi carico delle conseguenze dei propri errori, e potendo così imparare da essi, piuttosto che lasciarsi sempre guidare dagli altri, con il rischio di percepirsi incapaci a fare da soli e in modo autonomo e, comunque, deresponsabilizzandosi.

Occorre perciò sollecitarli a prendersi la responsabilità delle loro scelte e a gestire le conseguenze che ne derivano, così che possano imparare dalla loro esperienza, verificarne le conseguenze in prima persona e acquisire gli strumenti e le informazioni da usare in seguito per valutare di optare per scelte diverse.

Viceversa, avere un atteggiamento condiscendente e eccessivamente protettivo nei confronti dei figli, spianare loro la strada, o peggio ancora sostituirsi a loro nelle scelte che li riguardano, non li stimola a crescere, a fronteggiare le difficoltà che la vita inevitabilmente propone, a renderli forti e autonomi.

Ad esempio, a seguito di un brutto voto, piuttosto che assecondare le proteste del figlio sull'eccessiva intransigenza dell'insegnate, rafforzando il suo vissuto vittimistico e l'idea che la colpa è dell'altro, è molto più utile stimolarlo a riflettere sulle sue responsabilità (metodo di studio, tempo impiegato ecc.) e a individuare strategie alternative di gestione del problema.

Per concludere, è importante ricordarsi e ricordare ai figli che gli errori e i fallimenti sono potenzialmente degli importanti momenti di crescita e di apprendimento perché permettono di sperimentarsi nei propri limiti e nelle proprie mancanze e di imparare ad accettarsi e apprezzarsi nonostante questi.


L'accettazione dei propri limiti può e deve essere promossa dall'atteggiamento dei genitori, come vedremo nel prossimo post.


lunedì 27 febbraio 2017

Dall'infanzia all'adolescenza: La supervisione e il monitoraggio




Nel post precedente si è parlato di ascolto attivo (http://raparis.blogspot.com/2017/02/sos-adolescenza-1-lascolto-attivo.html), qui sarà trattato il tema della supervisione dei figli.

Diversi studi scientifici hanno individuato due tipi di famiglie non funzionali e diametralmente opposte: quelle eccessivamente indulgenti e, sull'altro versante, quelle troppo autoritarie.

La famiglia con caratteristiche di eccessiva indulgenza, caratterizzata dalla presenza di poche regole e limitazioni, rischia di promuovere nel figlio un'autostima eccessiva accompagnata da senso di onnipotenza (“tutto posso, tutto mi è dovuto”).
A farne le spese sarà il figlio stesso che, poco allenato alla sperimentazione dei propri limiti in ambito familiare, potrà avvertire di non possedere gli strumenti adatti alla loro gestione quando questi si presenteranno in altri contesti (scuola, sport, amicizie), con possibile conseguente crollo dell'immagine grandiosa di se stesso e vissuti di scarsa autostima. Ho trattato questo argomento in chiave umoristica con una filastrocca:  http://raparisamantha.blogspot.com/2017/03/un-cucciolo-viziato.html

Viceversa, la famiglia eccessivamente autoritaria, che non dà spazio all'autonomia, libertà e creatività del figlio, può stimolare nel bambino un adeguamento formale alle norme dettate dal mondo adulto ma una povera concezione di sé e, anche in questo caso, può innescarsi un problema di scarsa autostima.

L'ideale, relativamente alle regole familiari e all'ambito di libertà dei figli, è muoversi in uno spazio intermedio tra i due estremi sopra descritti, creando un equilibrio tra queste due aree.

Occorre essere genuinamente interessati ai propri figli e non trascurarli, seguirli e monitorarli nelle loro attività. È importante tenersi informati sul loro iter scolastico, non mancando appuntamenti importanti come i colloqui con gli insegnanti, essere partecipi alle loro attività extra-scolastiche ma anche, soprattutto quando saranno più grandi, creare occasioni e possibilità per conoscere i loro amici e le loro frequentazioni.

È essenziale inoltre che siano presenti in famiglia delle chiare regole di comportamento (ad esempio: rispettare gli orari di rientro a casa, avvertire in caso di ritardo, indicare quali luoghi si frequentano ecc.; per i più piccoli: stabilire l'orario in cui iniziare i compiti, assegnare delle mansioni da svolgere -come apparecchiare la tavola, riordinare la propria stanza- ecc.) ed è compito del genitore monitorare ed assicurarsi che tali regole siano rispettate, oltre a prendere provvedimenti nel caso vengano trasgredite.

Tutto ciò, oltre a far sentire ai figli un reale interessamento nei loro confronti, permette ai genitori di avere il polso della situazione.

Da notare però che supervisionare significa guardare da sopra, controllare dall'alto, mantenendo quella distanza che permette di non sostituirsi ai figli nella risoluzione dei loro problemi: va piuttosto incentivata l'autonomia, anche nei bambini più piccoli. Di questo si parlerà nel post successivo.

lunedì 13 febbraio 2017

Meditare... cucinando!








Molte persone immaginano che la meditazione sia una pratica che implica lo stare fermi e, per quelli che tendono ad andare sempre di fretta correndo da un impegno all'altro, l'idea di fermarsi, respirare e rilassarsi può essere inconcepibile.

In realtà la meditazione è fondamentalmente l'esercizio a stare nel qui-e-ora focalizzando l'attenzione sul momento presente piuttosto che permettere alla mente di spostarsi sul passato o sul futuro.  Perciò, si può scegliere di meditare stando seduti e concentrando l'attenzione sul respiro, ma è anche possibile meditare camminando oppure mentre si cucina.

Solitamente, quando siamo affaccendati ai fornelli ci muoviamo in automatico e senza prestare attenzione ai nostri gesti: cuciniamo e intanto pensiamo all'elenco delle cose da fare nel pomeriggio, oppure ricordiamo l'episodio accaduto ieri o anni fa.
Così facendo, non siamo presenti a noi stessi, i gesti si susseguono inconsapevolmente e la mente vaga seguendo un flusso di pensieri ininterrotto che ci porta lontano da noi stessi.

Provate invece a prestare attenzione ad ogni gesto: mentre ad esempio preparate l'insalata, osservate come lavate, tagliate e condite le verdure.
Allontanate i pensieri e le preoccupazioni, osservate e basta, senza giudizi e commenti, fate tutto con il massimo amore e con presenza mentale.

Non occorre muoversi lentamente, ma con la pratica e l'esercizio noterete che i vostri gesti assumeranno una sempre maggiore fluidità, la spinta a fare in modo concitato e frenetico verrà gradualmente meno, e pur lavorando con calma e senza affanno il tempo sembrerà scorrere più lentamente.

All'inizio non sarà semplice, perché la mente cercherà di ostacolarvi spingendovi a vivere proiettati nel passato o nel futuro, ma non scoraggiatevi e insistete: con l'esercizio imparerete a controllare la mente e a radicarvi nel presente.

I risultati?
Cucinare diventerà una pratica piacevole e un momento per stare con voi stessi.
Imparerete a controllare la mente e potrete pian piano estendere la pratica della consapevolezza ad altri momenti della giornata.
Infine, le vostre pietanze saranno ottime perché preparate con amore e presenza!

Dall'infanzia all'adolescenza: l'ascolto attivo




L'adolescenza è per antonomasia un'età critica poiché subentrano tanti cambiamenti, spesso in modo repentino, che possono stravolgere l'esistenza del ragazzo e mettere alla prova i genitori, alle prese con un figlio a tratti percepito come irriconoscibile.

In questo e nei post successivi vengono discusse alcune buone prassi che i genitori possono adottare per gestire al meglio il loro rapporto con i figli fin dalla prima infanzia, così da creare una solida base relazionale capace di sostenere e contenere gli "scossoni" adolescenziali.

Quali sono le caratteristiche di una famiglia sufficientemente buona?

Gli studi evidenziano alcuni aspetti significativi:
  • la supervisione con monitoraggio costante da parte dei genitori
  • la gratificazione dell'autonomia psicologica dei figli
  • la capacità di farli sentire accettati.

A questi va aggiunto un quarto elemento, importante in ogni tipo di rapporto ma essenziale nella relazione con i figli adolescenti, spesso caratterizzata da importanti difficoltà di comunicazione: l'ascolto attivo.

Anni fa, durante un intervento proposto in una scuola media, i ragazzi hanno raccontato che preferiscono confrontarsi con i coetanei perché “mamma e papà non mi fanno parlare”.
Ciò che è stato descritto è che, quando provano a raccontarsi ai genitori, questi tendono a interromperli, problematizzare ciò che dicono e infine fornire una serie di consigli non richiesti e che, pur essendo presentati come suggerimenti, suonano decisamente come “linee” da seguire per forza... meglio perciò parlare con gli amici da cui si sentono capiti e ascoltati.

Cos'è invece l'ascolto attivo?

La capacità di ascoltare attivamente consiste nel sapersi decentrare, sospendendo almeno momentaneamente ogni riferimento a se stessi e alle proprie esperienze di vita, così da potersi mettere nei panni dell'altro, sforzandosi di cogliere la sua personale esperienza e le sue personali reazioni, evitando ogni forma di critica e di giudizio.

Occorre quindi calarsi nel racconto dei figli, ascoltare con attenzione il loro punto di vista, i loro vissuti, le loro reazioni, le loro eventuali ipotesi di risoluzione, mostrando reale e genuino interesse per la loro esperienza e per le loro piccole o grandi difficoltà, a prescindere dalla loro età.

In questo modo il ragazzo, così come il bambino, può sentirsi accolto e ascoltato, può cogliere l'amorevole interesse dei suoi genitori e, in assenza di critiche e giudizi negativi, può sentirti rispettato nei suoi vissuti.

Stabilita questa piattaforma comunicativa, fatta di rispetto e di reale interessamento, si crea nel figlio uno spazio disponibile al confronto con i punti di vista del genitore che, pur essendo magari diversi dai suoi, possono essere ascoltati ed accolti come utili suggerimenti da seguire o come  informazioni ulteriori che vanno ad arricchire la sua lettura della situazione.

Un bambino che ha la possibilità di crescere in un contesto familiare in cui avverte che le sue opinioni sono degne di ascolto e di considerazione, matura la capacità di rispettarsi e di fidarsi di sé, e sente al contempo che può accogliere e fidarsi dell'opinione del genitore, da cui non si sente sopraffatto.
Una volta adolescente, sarà più semplice per lui gestire il confronto con i genitori, aprirsi alle loro idee, e i loro consigli potranno eventualmente essere accolti e presi in considerazione piuttosto che essere avvertiti in automatico come critiche, giudizi o imposizioni e quindi, con ogni probabilità, rigettati e rispediti al mittente.

martedì 31 gennaio 2017

Il potere della Compassione





Nel libro “Le emozioni che fanno guarire. Conversazioni con il Dalai Lama” viene descritta l'incredulità del Dalai Lama quando apprende che uno dei problemi più frequenti degli individui occidentali ha che fare con la loro mancanza di autostima e con il disprezzo per se stessi.
“Il Dalai Lama è sbalordito nel sentire che gli occidentali soffrono di scarsa autostima. Il concetto di disprezzo di sé o, come dice il Dalai Lama, la mancanza di compassione nei propri confronti, è completamente estraneo alla cultura tibetana”.

La compassione non va confusa con il concetto di pietà, cioè un sentimento di pena che va dall'alto in basso.
La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell'altro (dal latino: cum insieme patior soffro).
È la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che non può chiedere niente in cambio.

Avere compassione per se stessi significa riuscire ad entrare in contatto con la propria sofferenza e saperla tollerare, gestire e superare, mantenendo inalterato l'amore per se stessi, al di là di tutti i conflitti, i difetti e i fallimenti che ogni individuo inevitabilmente sperimenta.  

Invece di dedicare tanta energia a darsi addosso, occorre imparare ad avere un atteggiamento compassionevole e rispettoso nei propri confronti.

Questo significa che piuttosto che focalizzarsi sugli aspetti che non ci piacciono, sforzandoci di migliorare e di “combattere contro il male” (i propri difetti, le mancanze, gli obiettivi che non si riescono a raggiungere, ecc.), dando energia e amplificando il monologo interiore auto-svalutante, occorre imparare a riconoscere e a non perdere di vista le proprie doti e capacità, ad apprezzarsi, a rafforzare il bene per sé stessi, per poi accogliere ad accettare, con compassione e amore, anche le proprie sofferenze e i propri limiti, che sono parte del percorso di crescita di ogni individuo.

Usando una similitudine, compassione e amore per se stessi possono essere visti come una luce capace di dissipare le ombre del biasimo e dell'autosvalutazione; quindi, anziché concentrarsi sulle proprie zone di ombra, amplificandole, si può scegliere di incrementare la luce, amandosi e rispettandosi, riuscendo così a dissolvere gradualmente la mancanza di auto-stima.





Avendo compassione per sé stessi, riuscendo ad apprezzarsi amorevolmente, anche nel sereno e realistico riconoscimento degli aspetti in cui ci si percepisce manchevoli, si può pervenire all'accettazione di sé nella propria interezza.

Inoltre, imparando ad accettare anche gli aspetti meno gradevoli di sé, sapendoli tollerare con sereno accoglimento piuttosto che usarli per alimentare l'auto-denigrazione, è possibile vederli con occhi nuovi, riconoscendo in essi delle potenziali sfide da superare per il continuo miglioramento di se stessi.

Così facendo, imparando a nutrire l'amore compassionevole, si diventa capaci di superare l'autosvalutazione, di alimentare la propria autostima e di affrontare l'esistenza percependola come un'occasione continua di crescita, di cambiamento e di evoluzione personale.


"Abbiamo bisogno della compassione e dell'affetto
per sviluppare e sostenere noi stessi,
per sopravvivere"

Dalai Lama